Cenni teorici sui dolori accusati al bicipite femorale: cause e proposte di alcune soluzioni.
Muscolo bicipite femorale
Come dice il suo nome, ha due capi di origine. Il capo lungo origina dalla tuberosità ischiatica, il capo breve dal terzo medio del labbro laterale della linea aspra. Il tendine di inserzione comune prende attacco sulla testa della fibula (o perone) e sul condilo laterale della tibia.
Contraendosi, flette la gamba, estende la coscia attraverso l’articolazione dell’anca e consente la rotazione esterna della coscia attraverso l’articolazione del ginocchio. È innervato dal nervo tibiale (capo lungo) e dal nervo peroniero (capo breve) (L4 – S1).
Contraendosi, flette la gamba, estende la coscia attraverso l’articolazione dell’anca e consente la rotazione esterna della coscia attraverso l’articolazione del ginocchio. È innervato dal nervo tibiale (capo lungo) e dal nervo peroniero (capo breve) (L4 – S1).
Dolore a livello del muscolo bicipite femorale
Il dolore accusato a livello di questo muscolo può dipendere da vari fattori che elencheremo di seguito in dettaglio:
1) Corsa su superfici dure (esempio: asfalto):
I muscoli della coscia, sia anteriori che posteriori, operano un’azione di sostegno e ammortizzante durante l’esercizio della corsa, che se associata all’assorbimento di tutte le vibrazioni provocate dall’urto del piede al suolo, può portare ad affaticamento dei muscoli implicati in questa azione.
Il dolore che può essere accusato è un irrigidimento dei muscoli della coscia, avvertibile a volte più nella parte anteriore e a volte più nella parte posteriore a seconda dello stile di corsa (per dare un’idea più chiara, la sensazione di dolore si avvicina a quella provata il giorno dopo una corsa di qualche chilometro in discesa).
Il problema che si viene a creare è facilmente risolvibile, dato che sarà sufficiente effettuare le sedute di allenamento su superfici morbide come erba, sabbia o anche sulla pista di atletica (se non tutte le sedute, alcune effettuarle su superficie morbida).
Il dolore che può essere accusato è un irrigidimento dei muscoli della coscia, avvertibile a volte più nella parte anteriore e a volte più nella parte posteriore a seconda dello stile di corsa (per dare un’idea più chiara, la sensazione di dolore si avvicina a quella provata il giorno dopo una corsa di qualche chilometro in discesa).
Il problema che si viene a creare è facilmente risolvibile, dato che sarà sufficiente effettuare le sedute di allenamento su superfici morbide come erba, sabbia o anche sulla pista di atletica (se non tutte le sedute, alcune effettuarle su superficie morbida).
2) Scarsa decontrazione e scarsa mobilità:
È possibile che si accusino dolori ai muscoli posteriori della coscia durante periodi di allenamento per la corsa, in quanto sono fra i muscoli più impegnati in questo tipo di attività. Sono muscoli che vanno curati molto dal punto di vista della decontrazione che può essere perseguita con massaggi, con accorgimenti per mantenere questa parte del corpo sempre al caldo e con allungamento.
Varie teoria ipotizzano che lo stretching sia utile all’esercizio della pratica sportiva, in quanto preserva le strutture muscolari da stiramenti, contratture e strappi. Altre teorie affermano che, al contrario, non sia utile o possa essere dannoso.
In fisiologia si è indagato sull’allungamento muscolare ed è stato visto che la forza di contrazione di un muscolo è in relazione al numero di ponti trasversali* attivi (maggiore è questo numero, maggiore è la forza sviluppata) e che, per sviluppare forza, i ponti trasversali di miosina devono potersi fissare all’actina. Ma se il muscolo è significativamente più corto della sua lunghezza ottimale, la tensione sviluppata durante la fase di contrazione è ridotta perché, nonostante i ponti trasversali siano tutti attivi, i filamenti sottili cominciano ad accavallarsi. Questo interferisce con lo sviluppo della forza quindi il muscolo, ad ogni contrazione, genera meno forza di quanta potrebbe generarne in condizioni ottimali.
Da questo si evince che mantenere il muscolo alla sua lunghezza ottimale è necessario se si vuole conservare la capacità di sviluppare forza. Ne deriva che è utile allungare la muscolatura e mantenerla sciolta e decontratta per affrontare al meglio gli impegni muscolari derivanti dagli allenamenti e dalle gare.
Varie teoria ipotizzano che lo stretching sia utile all’esercizio della pratica sportiva, in quanto preserva le strutture muscolari da stiramenti, contratture e strappi. Altre teorie affermano che, al contrario, non sia utile o possa essere dannoso.
In fisiologia si è indagato sull’allungamento muscolare ed è stato visto che la forza di contrazione di un muscolo è in relazione al numero di ponti trasversali* attivi (maggiore è questo numero, maggiore è la forza sviluppata) e che, per sviluppare forza, i ponti trasversali di miosina devono potersi fissare all’actina. Ma se il muscolo è significativamente più corto della sua lunghezza ottimale, la tensione sviluppata durante la fase di contrazione è ridotta perché, nonostante i ponti trasversali siano tutti attivi, i filamenti sottili cominciano ad accavallarsi. Questo interferisce con lo sviluppo della forza quindi il muscolo, ad ogni contrazione, genera meno forza di quanta potrebbe generarne in condizioni ottimali.
Da questo si evince che mantenere il muscolo alla sua lunghezza ottimale è necessario se si vuole conservare la capacità di sviluppare forza. Ne deriva che è utile allungare la muscolatura e mantenerla sciolta e decontratta per affrontare al meglio gli impegni muscolari derivanti dagli allenamenti e dalle gare.
Fig. A Riproduzione schematica (a) e una microfotografia al microscopio elettronico (b) riguardanti la posizione relativa dei filamenti di miosina (arancioni) e astina (blu) di un sarcomero rilasciato (in alto) e contratto (in basso).
Fig. B: Curva tensione-lunghezza: la curva della tensione sviluppata da un muscolo è espressa in funzione della lunghezza del muscolo a riposo. Il segmento centrale (verde) indica la lunghezza ottimale. I sarcomeri, rappresentati in maniera schematica, mostrano gli spostamenti dei filamenti spessi e sottili in relazione alle variazioni di lunghezza.
*(ponte trasversale = struttura a forma di “mazza da golf” che costituisce parte della proteina contrattile miosina e si compone di coda, testa e sito di fissazione all’actina).
I metodi migliori che si conoscono al giorno d’oggi per mantenere la lunghezza del muscolo a livello ottimale sono la mobilità articolare e lo stretching attivo (stretching in movimento che si attua contraendo i muscoli antagonisti per rilassare i muscoli di interesse) e la tecnica di stretching PNF (Proprioceptive Neuromuscolar Facilitation - detta anche stretching propriocettivo). Nel caso del bicipite femorale (e loggia posteriore della coscia in generale) possiamo proporre alcuni esercizi:
Fig. C: Esercizio – Andatura con flessione-spinta successiva in alto-avanti degli arti inferiori. Si esegue anche con cavigliere in serie di 30/40/50 ripetizioni per aumentare la forza dei muscoli ileo-psoas e accentuare la decontrazione dei muscoli bicipite femorale, semitendinoso e semimembranoso.
La tecnica PNF si basa sul principio della contrazione e del rilassamento dei muscoli antagonisti, come l’esercizio precedente, ma con la differenza che si separa il momento in cui avviene la contrazione degli antagonisti da quello in cui avviene l’allungamento dei muscoli di interesse. Per procedere con la tecnica occorre assumere per 15-20 sec. una posizione di contrazione dei muscoli antagonisti (nel nostro caso i muscoli anteriori della coscia) per poi ritornare in posizione di rilassamento. In seguito eseguire un esercizio di stretching passino con l’obbiettivo di allungare i muscoli di interesse (nel nostro caso i muscoli della loggia posteriore della coscia). Si otterrà così un allungamento maggiore di questi muscoli perché sono stati precedentemente rilassati a causa della contrazione dei muscoli antagonisti, come già specificato in precedenza.
3) Eccessiva eversione dovuta all’utilizzo di scarpe anti-pronazione:
L’eccessiva eversione (o supinazione), soprattutto se è veramente abbondante, causa dolore a questo livello, perché costringe il muscolo bicipite femorale ad un eccessivo lavoro di stabilizzazione del ginocchio. Questo tipo di appoggio può essere dovuto:
- all’utilizzo di scarpe della “Categoria A4 – Antipronazione – Stabili – Con supporto” quando non si ha effettivamente bisogno di questo tipo di calzature;
- a problemi legati all’appoggio del piede, dovuti al fatto che durante la fase di accrescimento si è sviluppato un errato schema motorio riguardante l’appoggio del piede, oppure ad un incidente che ha generato squilibri dal punto di vista propriocettivo portando la persona ad appoggiare il piede a terra in modo errato;
- a problemi legati alla postura, quindi alla colonna vertebrale, che causano squilibri a livello del bacino facendo si che un arto sia apparentemente più lungo dell’altro;
- a effettiva differenza di lunghezza fra gli arti inferiori (in questo caso potrebbe accadere che l’individuo, dopo un periodo di assestamento, non accusi più nessun dolore per il semplice fatto che il corpo ha trovato il suo assetto tramite una postura differente, ma funzionale).
Le soluzioni ai precedenti tipi di problema legati all’appoggio del piede a terra sono le seguenti:
- utilizzo di scarpe della “Categoria A3 – Neutre – Massimo ammortizzamento” al posto delle scarpe della categoria anti-pronazione;
- procedere con una riabilitazione dal punto di vista della propriocezione, con tavolette propriocettive e altri mezzi di allenamento utili a perseguire tale scopo;
- esecuzione di un programma di esercizi posturali che aiutino a correggere la postura (se necessario utilizzare plantari personalizzati o scarpe anti-supinazione);
- se non c’è adattamento o se questa fase causa problemi seguire le stesse indicazioni del punto precedente.
4) Trauma dal quale non si è guariti completamente:
Il dolore può essere dovuto ad un trauma dal quale non si è completamente guariti, probabilmente per mancata riabilitazione, o da un inizio di preparazione troppo intenso per mancata gradualità negli allenamenti o composto da allenamenti troppo estensivi dal punto di vista dello sforzo (come ad esempio da 0 km a 20 km in poche settimane).
Come già descritto nel punto precedente occorre intervenire con una riabilitazione dal punto di vista della propriocezione, con tavolette propriocettive e altri mezzi di allenamento utili a perseguire tale scopo, aggiungere del riposo in più durante ogni microciclo e dopo ogni macrociclo di allenamento e correggere la gradualità degli allenamenti stilando programmi adeguati alla preparazione fisica dell’atleta in esame.
5) Crampi
Durante la pratica della corsa, possono insorgere a questo livello, crampi muscolari anche di lieve entità che si camuffano sottoforma di dolori più simili a contusioni. È pertanto consigliato e necessario operare una valutazione dell’apporto idro-salinico che si effettua con la dieta, tenendo bene in considerazione se si assume una giusta quantità di Potassio [3100 mg/die – dai LARN o Livelli di assunzione giornalieri raccomandati per la popolazione Italiana] (lo si trova molto abbondante nella soia, nello stoccafisso secco, nei fagioli borlotti secchi, nei fichi secchi, nelle prugne secche, nei datteri e nelle castagne, mentre nelle banane, che sono famose per i livelli di potassio, non è così presente come nei precedenti alimenti, ma sono facili da mangiare e se ne mangiano in quantità maggiori) Magnesio [150-500 mg/die – dai LARN] (lo si trova molto abbondante nei fagioli borlotti secchi, nei fiocchi d’avena, nelle noci secche) e Acqua [molto importante per il corretto funzionamento di tutte le reazioni chimiche del nostro corpo, per l’ammortizzazione e il corretto funzionamento delle articolazioni e per la termoregolazione tramite sudorazione].
Per dolori di tipo acuto, tali da sospettare la presenza di contratture, stiramenti o addirittura strappi, è indispensabile consultare un ortopedico ed effettuare un esame di risonanza magnetica.
Scritto e realizzato da:
Fusetto Diego, Dottore in Scienze Motorie
Fusetto Matteo, Dottore in Scienze Motorie
Fusetto Diego, Dottore in Scienze Motorie
Fusetto Matteo, Dottore in Scienze Motorie
Fig. A – da: Fisiologia umana, William J. Germann e Cindy L. Stanfield – EdiSES.
Fig. B – da: Fisiologia umana, William J. Germann e Cindy L. Stanfield – EdiSES.
Fig. C – da: L'allenamento del giovane corridore dai 12 ai 19 anni di Carlo Vittori - Supplemento al n. 1-2/97 di Atleticastudi.
Fig. B – da: Fisiologia umana, William J. Germann e Cindy L. Stanfield – EdiSES.
Fig. C – da: L'allenamento del giovane corridore dai 12 ai 19 anni di Carlo Vittori - Supplemento al n. 1-2/97 di Atleticastudi.
Il punto 5 mi interessa eccome! Aggiungo alla mia personale categoria "Appunti". Grazie Gaggio, sempre interessante
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