Il confronto tra la specie a cui apparteniamo, Homo sapiens, e il nostro cugino Homo neanderthalensis
è stato messo al centro di innumerevoli studi e dibattiti nel corso
degli anni. Il grado di affinità tra le due specie e le loro origini
hanno rappresentato sin dall’inizio i temi principali di questo annoso
confronto, che hanno subito rivoluzioni e capovolgimenti con il
susseguirsi degli studi. Dall’idea dell’esistenza di due sottospecie
appartenenti ad Homo sapiens, si è giunti al modello
attualmente dominante dell’”origine africana recente” per la nostra
specie, e dell’origine europea da una separata linea evolutiva per il
Neandertal. E l’idea dominante scaturita da queste teorie che escludeva
del tutto l’occorrenza di scambi genetici tra le due specie, ha subito
anch’essa un duro colpo dalla recente scoperta dell’esistenza di una
piccola percentuale di genoma in condivisione.
Tuttavia, sebbene
globalmente le differenze genetiche tra le due specie siano davvero
minime, le variazioni fenotipiche fra di esse sono notevoli, e i vari
studi hanno messo in risalto gli aspetti anatomici che caratterizzano i
nostri cugini e li differenziano dalla nostra specie. È stato così
evidenziato come i Neandertal siano contraddistinti da un’anatomia
chiaramente adattata ai climi rigidi imperanti nelle regioni da essi
colonizzate.
Uno studio recentemente pubblicato sul “Journal of Human Evolution”
ha messo in evidenza un’ulteriore differenza anatomica e funzionale fra
le due specie, che appare anch’essa influenzata dai diversi regimi
climatici a cui esse erano sottoposte. Si era già osservato che
l’apparato locomotorio delle due specie differiva significativamente: i
nostri cugini erano caratterizzati da arti molto più robusti e più corti
dei nostri, che rispondevano senz’altro agli effetti della rigidità
climatica. Gli autori dello studio citato si sono però dedicati ad un
particolare osso degli arti inferiori: il calcagno. E’ stato infatti
dimostrato che le analisi di quest’osso forniscono una buona stima delle
caratteristiche funzionali del tendine d’Achille, un elemento dell’arto
inferiore fortemente coinvolto nella corsa.
I ricercatori sono partiti da ipotesi precedenti secondo le quali l’Homo sapiens,
rispetto agli altri ominidi, sia contraddistinto dallo sviluppo di una
maggiore resistenza nella corsa, che gli avrebbe consentito di mettere
in atto una strategia di caccia molto efficace. La capacità di
mantenersi in corsa per un tempo considerevole forse permetteva ai
nostri antenati cacciatori-raccoglitori di inseguire le prede abbastanza
a lungo da provocare l’ipertermia negli animali. A differenza degli
uomini che dissipavano l’enorme calore prodotto con la corsa con la
sudorazione, le prede necessitavano di fermarsi per disperdere il calore
ansimando, e se i cacciatori con l’inseguimento prolungato impedivano
loro di sostare potevano provocare il loro surriscaldamento,
costringendole ad immobilizzarsi ed a subire l’assalto dei cacciatori.
Questa
stessa strategia era invece probabilmente poco applicabile da parte dei
cugini Neandertal, ed ancora una volta le cause sono da attribuire al
clima. Si è infatti osservato che l’ipertermia sopravviene solo in
presenza di temperature sufficientemente elevate, e probabilmente non vi
erano quindi le condizioni ideali nelle regioni occupate dai
Neandertal.
Se per i nostri cugini la resistenza nella corsa non
doveva essere una fondamentale arma per affrontare le loro sfide
quotidiane, probabilmente anche lo studio della loro struttura
anatomica ce lo avrebbe suggerito. Gli autori dello studio preso in
considerazione hanno trovato che i calcagni dei Neandertal sono più
lunghi di quelli della nostra specie, considerando sia gli individui
coevi dei Neandertal sia soggetti più recenti. In particolare la
tuberosità del calcagno ha mostrato una differenza significativa tra le
due specie. La misura della lunghezza di questo carattere fornisce una
stima indiretta delle proprietà funzionali del tendine di Achille, le
quali influenzano il costo energetico speso per correre.
I
Neandertal erano soggetti ad un dispendio energetico maggiore durante la
corsa, e probabilmente non la mantenevano per lungo tempo. Anche i
forti traumi riscontrati dalle analisi paleopatologiche sui loro arti
superiori suggeriscono che le loro battute di caccia fossero soprattutto
violente battaglie corpo a corpo con le prede, e che fossero quindi
molto lontane dalle strategie di caccia persistente (“persistence hunting”)
forse adottate dai nostri antenati, i quali portavano all’ipertermia e
all’immobilità le loro prede che potevano quindi abbattere senza
difficoltà.
Le lunghe tuberosità dei Neandertal indicherebbero
invece, secondo gli autori, che i loro tendini di Achille fossero ben
adattati alla resistenza nel camminare (“endurance walking”), e nel muoversi in zone montuose ed impervie, e probabilmente persino per compiere balzi.
Se
i nostri tendini di Achille sono stati selezionati per raggiungere le
vette della resistenza nella corsa, soggetta ad una forte pressione
evolutiva nell’ambiente d’origine africano, la meccanica e l’anatomia
degli arti inferiori dei Neandertal erano adattate a molteplici
funzionalità ed attività utili per affrontare gli ostici ed inospitali
habitat situati alle latitudini più elevate del continente europeo in
cui si sono evoluti.
Fabio Perelli
Riferimenti:
David A. Raichlen, Hunter Armstrong and Daniel E. Lieberman, Calcaneus length determines running economy: Implications for endurance running performance in modern humans and Neandertals. Journal of Human Evolution, 60 (3) : 299-308.
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