giovedì 29 marzo 2012

Il Tallone nell'evoluzione umana

Il confronto tra la specie a cui apparteniamo, Homo sapiens, e il nostro cugino Homo neanderthalensis è stato messo al centro di innumerevoli studi e dibattiti nel corso degli anni. Il grado di affinità tra le due specie e le loro origini hanno rappresentato sin dall’inizio i temi principali di questo annoso confronto, che hanno subito rivoluzioni e capovolgimenti con il susseguirsi degli studi. Dall’idea dell’esistenza di due sottospecie appartenenti ad Homo sapiens, si è giunti al modello attualmente dominante dell’”origine africana recente” per la nostra specie, e dell’origine europea da una separata linea evolutiva per il Neandertal. E l’idea dominante scaturita da queste teorie che escludeva del tutto l’occorrenza di scambi genetici tra le due specie, ha subito anch’essa un duro colpo dalla recente scoperta dell’esistenza di una piccola percentuale di genoma in condivisione.
Tuttavia, sebbene globalmente le differenze genetiche tra le due specie siano davvero minime, le variazioni fenotipiche fra di esse sono notevoli, e i vari studi hanno messo in risalto gli aspetti anatomici che caratterizzano i nostri cugini e li differenziano dalla nostra specie. È stato così evidenziato come i Neandertal siano contraddistinti da un’anatomia chiaramente adattata ai climi rigidi imperanti nelle regioni da essi colonizzate.
Uno studio recentemente pubblicato sul “Journal of Human Evolution” ha messo in evidenza un’ulteriore differenza anatomica e funzionale fra le due specie, che appare anch’essa influenzata dai diversi regimi climatici a cui esse erano sottoposte. Si era già osservato che l’apparato locomotorio delle due specie differiva significativamente: i nostri cugini erano caratterizzati da arti molto più robusti e più corti dei nostri, che rispondevano senz’altro agli effetti della rigidità climatica. Gli autori dello studio citato si sono però dedicati ad un particolare osso degli arti inferiori: il calcagno. E’ stato infatti dimostrato che le analisi di quest’osso forniscono una buona stima delle caratteristiche funzionali del tendine d’Achille, un elemento dell’arto inferiore fortemente coinvolto nella corsa.
 
I ricercatori sono partiti da ipotesi precedenti secondo le quali l’Homo sapiens, rispetto agli altri ominidi, sia contraddistinto dallo sviluppo di una maggiore resistenza nella corsa, che gli avrebbe consentito di mettere in atto una strategia di caccia molto efficace. La capacità di mantenersi in corsa per un tempo considerevole forse permetteva ai nostri antenati cacciatori-raccoglitori di inseguire le prede abbastanza a lungo da provocare l’ipertermia negli animali. A differenza degli uomini che dissipavano l’enorme calore prodotto con la corsa con la sudorazione, le prede necessitavano di fermarsi per disperdere il calore ansimando, e se i cacciatori con l’inseguimento prolungato impedivano loro di sostare potevano provocare il loro surriscaldamento, costringendole ad immobilizzarsi ed a subire l’assalto dei cacciatori.
Questa stessa strategia era invece probabilmente poco applicabile da parte dei cugini Neandertal, ed ancora una volta le cause sono da attribuire al clima. Si è infatti osservato che l’ipertermia sopravviene solo in presenza di temperature sufficientemente elevate, e probabilmente non vi erano quindi le condizioni ideali nelle regioni occupate dai Neandertal.
Se per i nostri cugini la resistenza nella corsa non doveva essere una fondamentale arma per affrontare le loro sfide quotidiane, probabilmente anche lo studio  della loro struttura anatomica ce lo avrebbe suggerito. Gli autori dello studio preso in considerazione hanno trovato che i calcagni dei Neandertal sono più lunghi di quelli della nostra specie, considerando sia gli individui coevi dei Neandertal sia soggetti più recenti. In particolare la tuberosità del calcagno ha mostrato una differenza significativa tra le due specie. La misura della lunghezza di questo carattere fornisce una stima indiretta delle proprietà funzionali del tendine di Achille, le quali influenzano il costo energetico speso per correre.
I Neandertal erano soggetti ad un dispendio energetico maggiore durante la corsa, e probabilmente non la mantenevano per lungo tempo. Anche i forti traumi riscontrati dalle analisi paleopatologiche sui loro arti superiori suggeriscono che le loro battute di caccia fossero soprattutto violente battaglie corpo a corpo con le prede, e che fossero quindi molto lontane dalle strategie di caccia persistente (“persistence hunting”) forse adottate dai nostri antenati, i quali portavano all’ipertermia e all’immobilità le loro prede che potevano quindi abbattere senza difficoltà.
Le lunghe tuberosità dei Neandertal indicherebbero invece, secondo gli autori, che i loro tendini di Achille fossero ben adattati alla resistenza nel camminare (“endurance walking”), e nel muoversi in zone montuose ed impervie, e probabilmente persino per compiere balzi.
Se i nostri tendini di Achille sono stati selezionati per raggiungere le vette della resistenza nella corsa, soggetta ad una forte pressione evolutiva nell’ambiente d’origine africano, la meccanica e l’anatomia degli arti inferiori dei Neandertal erano adattate a molteplici funzionalità ed attività utili per affrontare gli ostici ed inospitali habitat situati alle latitudini più elevate del continente europeo in cui si sono evoluti.
Fabio Perelli

Riferimenti:
David A. Raichlen, Hunter Armstrong and Daniel E. Lieberman, Calcaneus length determines running economy: Implications for endurance running performance in modern humans and Neandertals. Journal of Human Evolution, 60 (3) : 299-308.

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